La scena della doccia ha cambiato la storia del cinema.
E adesso torna sul grande schermo: per il Legend Film Festival, al Corallo di Genova.
La notizia è Hitchcock sul grande schermo: come si è sempre visto e come si dovrebbe continuare a vedere. Per Hitchcock infatti vale ancora più che per tutto il grande cinema l’ovvietà che il cinema al cinema è un’altra cosa rispetto al cinema in televisione. Perché Alfred Hitchcock non ha solo raccontato delle storie – più o meno di suspense – ma ha soprattutto esplorato e creato linguaggio e stile cinematografici.
Lo ha fatto in tutti i suoi film? Di fatto sì, ma in particolare lo ha fatto nel suo più celebre, più visto, quello che ha incassato di più e che è costato di meno.
Insomma, Psyco è davvero un film dai molti primati, e quest’anno ha aggiunto i cinquant’anni tondi di vita. È un mezzo secolo attraversato oltreché dal successo anche dalle innumerevoli citazioni da parte di tanti cineasti, ora in forma nobile ora in forma di scopiazzature, in particolare della scena madre: la doccia. In quel minuto scarso, generazioni di spettatori hanno scoperto cos’è la paura, hanno definitivamente associato il nome di Hitchcock alla suspense. Ora, non è che questa non ci sia, anzi vi è perfettamente esemplificata
proprio secondo la teoria hitchcockiana: il sopraggiungere di qualcosa di sconosciuto per il personaggio ma non per lo spettatore. Come per
l’appunto nella scena della doccia, dove la Marion interpretata da Janet Leigh viene accoltellata a morte da qualcuno che noi vediamo prima di lei, un attimo soltanto, ma comunque prima.
Quella scena non veniva a freddo, c’era metà film a precederla, attraversata da un’inquietudine che andava a preparare lo sviluppo successivo, tanto moderno per il pubblico e tanto appagante per gli psicoanalisti professionisti e dilettanti, ma inquietante anche per la produzione che non credeva nel film, tanto che dovette intervenire lo stesso Hitchcock mettendoci dei soldi suoi. Le idee il grande Alfred le aveva chiare come sempre; voleva fare un film che sembrasse televisivo, che fosse in bianco e nero anche per non far vedere il colore del sangue, un po’ come i telefilm che lo avevano reso famoso ai più: ma c’è riuscito, come dire, solo in parte, perché quello che è venuto fuori è uno dei film più cinematografici della storia del cinema.
«Il soggetto mi interessava poco, i personaggi mi interessavano poco: quello che mi interessava era l’insieme degli ingredienti del film, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò di puramente tecnico che poteva far urlare i pubblico […] Non è un messaggio che ha intrigato il pubblico. Non è una grande interpretazione che ha sconvolto il pubblico. Non era un romanzo molto apprezzato che ha catturato il pubblico. Ciò che ha emozionato il pubblico era il film puro.» I registi non dovrebbero mai parlare, ma se è uno come Truffaut a chiederglielo (nel 1966), allora vengano pure anche le sue parole. Le immagini, si capisce, sono essenziali per se stesse e per tutto ciò che si portano dietro.
Per rimanere alla scena della doccia andrà ricordato che Hitchcock la voleva senza musica, prima di lasciarsi convincere dal fedele Bernard Herrmann a metterci quegli indimenticabili pizzicati.
Si potrà anche aggiungere che sarebbe stata progettata e addirittura realizzata da Saul Bass, argomento sempre evitato dal regista (e Bass,
dopo la morte di Hitchcock, chiuse la questione dicendo che tutto ciò che rientrava in un film del maestro non poteva che essere completamente suo).
Ma ciò che ha fatto di Psyco uno dei tanti capolavori hitchcockiani è l’aderenza alla norma stilistica del regista e al tempo stesso la sua trasgressione, come si addice alle grandi creazioni: quindi un perfetto impianto drammaturgico-narrativo e una dirompente novità, che ancora nella scena della doccia si manifesta con una quantità di inquadrature analizzabili e numerabili solo ad una visione rallentata con le apparecchiature televisive. Quella però che al cinema per fortuna non si può fare.
(Massimo Marchelli)