L’esclusione di Avati – La posta di D.O.C. Holliday (90)

“Gent.mo Dottor Fava,
ho letto che a Pupi Avati è stato negato il film nel concorso di Venezia. Cosa ne pensa?
Non è una cosa grave? Leggerei volentieri Sua risposta. Grazie. Suo stimatore.
Dario Dondero
Genova – Prato”

Caro Dondero,
come forse lei sa, tante cose nella vita sembrano gravi e poi in qualche modo si aggiustano. Non è questo il caso di Pupi. In effetti il suo rifiuto di partecipare extra concorso alla Mostra è stato mantenuto. E pertanto “Una sconfinata giovinezza” non è stato proiettato e il regista non si è recato al Lido. Sia lui che il direttore della manifestazione, Marco Müller, sono vecchie conoscenze, con cui sono sempre stato in buoni rapporti, per cui il tema mi imbarazza un po’. La decisione di non ammettere il film in concorso è indubbiamente criticabile e Avati si è offeso dicendo di essere stato tradito da persone che considerava amiche. Il suo è un caso molto particolare e perciò ancor più doloroso.

Fuori di dubbio Pupi rappresenta un valore solitario ed appartato nel cinema italiano contemporaneo. A partire dal 1970 (è nato nel 1938) con “Thomas e gli indemoniati” ha iniziato un operosissimo cammino di regia che prevede quasi 40 lungometraggi e diversi titoli televisivi, fra cui due splendidi sceneggiati in più puntate ciascuno, “Cinema!!!” e “Jazz Band”, ove rievoca la sua giovinezza, e la sua scoperta del fascino dei film e del fabbricare i film. Oltreché l’antico amore iniziale per un tipo di musica che, verso la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ’60, esercitò sui giovani una fascinazione totale. Da ragazzo, Pupi, (il suo vero nome è Giuseppe), imparò a suonare il trombone a coulisse: io l’ho sentito, prima che lui lo ripudiasse per sempre, e mi sembrava che lo suonasse bene. I suoi film iniziali sono molto in contrasto con il mondo poetico che poi ha contraddistinto in massima parte la sua opera di regista. “Thomas e gli indemoniati”, “Balsamus, l’uomo di Satana”, “La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone”, “Bordella”, “La casa dalle finestre che ridono”, “Tutti defunti…tranne i morti”, sono progettati con stimoli diversi, ma tutti all’insegna di una visione paradossale ed irridente della realtà, bizzarra e provocatoria. Che contrasta apertamente con il successivo cammino di Avati, tendenzialmente crepuscolare e vagamente autobiografico, spesso radicato nell’Emilia natia, pur con diverse eccezioni. Penso ad esempio ad un film del 1991 “Bix”, dove Pupi paga un debito al jazz della sua giovinezza descrivendo la vita di uno dei suoi idoli di un tempo, il famoso cornettista e pianista bianco, Bix Beiderbecke, distrutto dall’alcol non ancora trentenne e presente come pochi altri nella memoria degli appassionati. Oppure ad un film del 1996 “Festival”, ispirato a quel che accadde una volta a Walter Chiari alla Mostra di Venezia e interpretato, con una resa di notevole livello, da Massimo Boldi. Il quale è qui nei panni di un attore comico un tempo famoso ed ora dimenticato dal pubblico, che rischia di vincere il premio per il miglior attore con un film ove egli interpreta inaspettatamente un personaggio drammatico. “Festival” è uno dei film di Avati che ha avuto meno successo. E non è un caso perché vi partecipo anch’io. Sono un personaggio televisivo che dirige la serata finale della consegna dei premi alla Mostra. Quasi tutta la mia partecipazione è stata poi tagliata al montaggio, ma almeno ho avuto occasione di vedere Pupi lavorare e di ammirare la sua estrema minuzie nella stesura del film. Me lo ricordo sempre, seduto sul carrello a fianco dell’operatore, controllare con una tensione totale il lavoro di ripresa. Per me è stata un’esperienza piacevole, anche se sullo schermo poco è rimasto della mia presenza. La stessa cosa è capitata a molti altri personaggi televisivi, e probabilmente la scelta di Pupi è stata giusta. E’ chiaro che i suoi grandi film sono altri. Penso a “Impiegati” (1984), a “Festa di laurea” (1985), a “Regalo di Natale” (1986) ed al suo sequel “La rivincita di Natale” (2004), a “Storia di ragazzi e ragazze” (1989), a “Magnificat” (1993), via via sino ai film più recenti come “La seconda notte di nozze” (2005). Non ho ancora visto “Una sconfinata giovinezza”, ma il tema, quello del marito che perde la memoria e della moglie che si dedica a lui, mi pare toccante. Cosa che non stupisce in un autore spesso estremamente sensibile ai buoni sentimenti.

(di Claudio G. Fava)

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