Inception


InceptionNei labirinti di Nolan
Forse memore del suo grande connazionale per il quale “noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”, il britannico Christopher Nolan predilige raccontare i sentimenti e i comportamenti umani da angolazioni narrative che affondano le loro radici nel terreno sempre sfuggente dell’onirico.

Sia il suo racconto costruito sulla labilità della memoria
(Memento) o nella livida luce artica (Insomnia), caratterizzato dagli scarti temporali come in Batman Begins o dalle virtù illusionistiche dei protagonisti di The Prestige, a Nolan piace soprattutto mettere in scena ciò che sta al di là delle apparenze sensibili, nella convinzione che soprattutto questo garantisca ai suoi film lo statuto di metafora del cinema tutto, della complessità del mondo e, in particolare, della natura umana. Ambizione pienamente legittima la sua, ovviamente.
Anzi, auspicabile in ogni film degno di questo nome. Se non fosse che in tutte le opere di Nolan – e la sua ultima, Inception, conferma in modo emblematico la regola – il progetto intellettuale finisce col prendere netto sopravvento sulla limpidezza del racconto, smorzando nel virtuosismo calligrafico – che in Inception (ancor più che in Batman Begins) indulge sovente al culto degli effetti speciali elettronici – sia la struttura narrativa come la consistenza dei personaggi, sia la tensione emotiva dell’intrigo a suspense come la pur sempre raffinata prova attoriale richiesta ai suoi protagonisti. E tutto questo concorre inesorabilmente a collocare i suoi film lontano da quel cinema classico sulla scia dei quali intendono invece essere riconosciuti; evidenziandone infine, soprattutto, l’effimera consistenza di grandi video games che vogliono prendersi troppo sul serio.

Inception ha tutti i vizi e tutte le qualità del cinema di Nolan. Il suo respiro narrativo coniuga il “thriller” (le imprese di un ladro di sogni, indotto dalla promessa di una fedina penale pulita a sperimentare il nuovo, indirizzando l’inconscio altrui su binari programmati) con il melodramma psicologico (i sensi di colpa di Di Caprio per essere stato involontariamente la causa del suicidio di Marion Cotillard, la madre dei suoi figli); ma tiene sempre ben presente la propria volontà di elevarsi a riflessione spettacolare sul senso ultimo dell’esistenza tutta. E, in questa direzione, il ridicolo è inesorabilmente sempre dietro a ogni sequenza di Inception. La forza di Nolan è quella di non aver mai paura di questo rischio e di proseguire diritto nella sua strada, compiacendosi anzi di incrociare ogni tanto anche i sentieri già percorsi da celebri predecessori. E allora le citazioni si moltiplicano, da Shakespeare a Pirandello, da Alain Resnais agli spazi impossibili di Escher. A un certo punto, però, viene proprio voglia di dire basta, soprattutto perché Inception è sicuramente un film virtuoso, ma anche molto compiaciuto e del tutto privo di ironia: cosa che a lungo andare conduce inesorabilmente sulla via della noia.

INCEPTION (Id, USA, 2010)
– Regia e sceneggiatura: Christopher Nolan
– Fotografia: Wally Pfister
– Musica: Hans Zimmer
– Scenografia: Guy Dyas
– Costumi: Jeffrey Kurland
– Montaggio: Lee Smith
– Interpreti: Leonardo Di Caprio (Cobb), Marion Cotillard (Mall), Ellen Page (Ariadne), Michael Caine (Professore), Cillian Murphy (Fischer), Ken Watanabe (Saito), Joseph Gordon-Levitt (Arthur), Tom Hardy (Eames), Tom Berenger (Browning).
– Distribuzione: Warner Bros.

Postato in Numero 89, Recensioni, Recensioni di Aldo Viganò.

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