Con il trascorrere degli anni, è diventato il più classico dei registi hollywoodiani. Autore di film dalla struttura narrativa sempre più compatta e contrassegnata da un linguaggio cinematografico teso a definirsi soprattutto sul terreno della necessità: inquadrature dall’angolazione e dalla durata scelte in rigorosa funzione della produzione del senso; sequenze dal ritmo interno teso innanzitutto a dare autonomo respiro e significato all’intero racconto; concentrazione drammaturgica sulla costruzione dei personaggi e in particolare dei protagonisti che in primo luogo tendono a essere definiti attraverso la più tradizionale delle recitazioni “underplaying”. A settantacinque anni compiuti, Clint Eastwood si è conquistato un posto di rilievo nella leggenda del cinema americano, e lo ha fatto compiendo un lungo viaggio a ritroso lungo i sentieri della sua storia. Partendo dalla fine cioè, dalla televisione ancora in bianco e nero (i 217 episodi di un’ora ciascuno di Rawhide, in cui era un giovane e impulsivo cowboy che conduceva le mandrie sulla pista tra il Texas e Abilene); per passare attraverso il gioco barocco delle stilizzate citazioni care alla “trilogia del western” di Sergio Leone e lo sguardo neo-classico di Don Siegel, apprezzato erede della Hollywood degli anni Cinquanta; e, infine, per arrivare alla composta amarezza che attraversa tutta la sua filmografia di regista, la quale porta sempre più in primo piano la consapevole dimensione di una malinconia mai rinunciataria, di una nostalgia dei valori etici perduti che è comunque capace di coniugarsi con la tenacia dell’azione e che fa dei suoi ultimi film una personale rivisitazione di un universo narrativo che già fu caro a John Ford.
Regista dallo sguardo sempre molto concreto e attore dalla recitazione contrassegnata da una forte fisicità, Clint Eastwood è autore di un cinema che parafrasa a modo suo la celebre battuta conclusiva di L’uomo che uccise Liberty Valance: “In un tempo in cui la realtà vuole continuamente negare la leggenda sembra egli dire a voce sempre più alta -, la leggenda resta l’unica realtà possibile”. La leggenda del cinema hollywoodiano, ovviamente. L’unico che è stato autenticamente capace di dare un senso popolare al racconto del mondo, di trasformare in realtà la metafora presente in ogni narrazione, di offrire un corpo concretamente tragico al sentimento del patetico che, film dopo film, è diventato sempre più esplicito nell’opera di Clint Eastwood.
Non è certo un caso se tutta la filmografia di Eastwood regista (e produttore) si alimenta della grande tradizione del cinema di genere, perché proprio lungo questi canali produttivi del senso – egli sa – la realtà meglio si organizza in discorso universalmente comunicabile, diventa racconto cinematografico veramente comunicabile e può, pertanto, aspirare ad attingere alla leggenda: cioè, ad una dimensione narrativa ed estetica capace di essere autentico specchio alla comprensione del reale.
Anche se, proprio come quello di John Ford, il nome di Clint Eastwood richiama subito alla mente il western, cioè il più classico e il più americano dei generi cinematografici, la sua filmografia non ha proprio nulla di monotematico, spaziando liberamente attraverso i generi e non negandosi mai il diritto “scespiriano” di mescolarli. Certo, il rapporto di Eastwood con il western è quello che ha la dimensione di una più lunga storia d’amore, muovendo dall’esplicita citazione dei suoi numi tutelari (Sergio Leone e Don Siegel) in Lo straniero senza nome, per andare però quasi subito alla ricerca di un tono più alto: in parte presente già in Il texano agli occhi di ghiaccio, ambientato sullo sfondo della Guerra civile, e in Il cavaliere pallido che sprofonda nel cupo pessimismo una situazione simile a quella di Il cavaliere della valle solitaria. Tono infine raggiunto nella personale autonomia estetica di Gli spietati, in cui i miti del West s’intrecciano con quelli attinti dalla tragedia greca e dalle frequenti citazioni bibliche per portare sul grande schermo la triste figura di un eroe solitario all’utopica ricerca del senso della vita, dal film identificato con il sentimento dell’amicizia e con la perduta solidarietà umana.
Prima ancora del western, e poi ad esso strettamente intrecciata, sta comunque la frequentazione del thriller più o meno poliziesco che Clint Eastwood ha imparato ad amare alla scuola di Don Siegel, partecipando dapprima (Brivido nella notte) alla maschia misoginia di tanti suoi film, poi inseguendone lo stile tra l’avventuroso e il poliziesco sin sulle alpi svizzere (Assassinio sull’Eiger) o lungo le strade dell’America corrotta (L’uomo nel mirino), infine accettando anche di farne la parodia in Coraggio…fatti ammazzare! Dopo questo ultimo episodio della serie dedicata all’ispettore Callahan, l’ormai quasi cinquantenne Clint Eastwood sembra essersi definitivamente liberato dai fantasmi del passato e si avvia con decisione sul terreno di un cinema molto più personale, in cui l’amore per la musica folk e jazz (Honkytonk Man o Bird) può coniugarsi con gli interrogativi sul mondo dello spettacolo americano (il circo di Bronco Billy, il cinema di Cacciatore bianco, cuore nero, la palestra e i ring di Million Dollar Baby), ma anche con gli incubi rituali della vita militare (Firefox, Gunny, La recluta), permettendosi ogni tanto di distendere nell’autoironia (il suo poliziotto in Un mondo imperfetto o i vecchi astronauti di Space Cowboy) quel senso patetico della tragedia di vivere che sembra essere connaturato al suo cinema migliore. Sia esso costruito esplicitamente secondo le tonalità del melodramma (I ponti di Madison County) o mescolato con la rappresentazione della volgarità della politica trionfante (Potere assoluto) o inserito nel contesto autoironico del discorso sull’invecchiamento (Debito di sangue). Oppure sia esso coniugato con la riflessione (anche estetica) intorno allo sguardo sulla realtà (Mezzanotte nel giadino del bene e del male) o i con nobili discorsi contro la pena di morte (Fino a prova contraria) e a favore dell’eutanasia (Million Dollar Baby). Anche se poi, come ben dimostra il suo capolavoro Mystic River, ciò che conta veramente nel cinema di Clint Eastwood è la costante ricerca della verità umana con i mezzi propri del cinema: vale a dire con il suo specifico linguaggio, ma anche con la consapevole utilizzazione della sua storia e delle sue forme di comunicazioni: fatte consapevolmente proprie avendo sempre cura di valorizzarle come concreta via per la conquista di un’autonomia creativa che anche il cinema ufficiale sembra aver finalmente scelto di riconoscere.
(di Aldo Viganò)
Chi è
Clint Eastwood nasce a San Francisco il 30 maggio 1930 e cresce a Oakland, nella solitudine dell’allevamento di galline della nonna. Il padre fa il benzinaio e la madre la segretaria all’Ibm, entrambi gli trasmettono l’amore per la musica, soprattutto quella folk e jazz. Finiti gli studi, fa per un po’ il taglialegna nell’Oregon e l’istruttore di nuoto in California e, nel 1953, si trasferisce a Los Angeles, si sposa con Maggie Johnson, con cui ha due figli, e inizia a fare del cinema con piccoli ruoli all’Universal. I primi successi arrivano con la serie di telefilm western Rawhide, programmati anche dalla Rai, dove lo vede anche Sergio Leone che gli offre il ruolo di protagonista della “trilogia del dollaro”. Rientrato in patria, fonda la compagnia Malpaso, il cui primo film prodotto (Impiccalo più in alto) si rivela subito un grosso affare. Nello stesso anno (1968) inizia con L’uomo dalla cravatta di cuoio la sua collaborazione con il regista Don Siegel. Nel 1971, esordisce nella regia con Brivido nella notte. Dal 1975 al 1988, ha una relazione anche artistica con l’attrice Sondra Locke. Dal 1986 al 1988 è sindaco di Camel in California. Come regista ha vinto due Oscar per Gli spietati e per Million Dollar Baby.
IL SOGNO AMERICANO DI CLINT
Nei miei film ho sempre amato evocare l’America profonda, che contiene tante storie che non sono ancora state raccontate.
Amo tutti i generi di film.
La maggior parte dei miei film ha uno stile diverso, dipende da cosa richiede la storia raccontata: dirigere è un’arte interpretativa, opposta allo scrivere, che invece è creativa.
All’uscita di una proiezione, Sean Connery mi ha fatto un’osservazione interessante: “E’ una storia completamente americana, ma sembra che l’abbia girata un europeo”. L’ho preso per un complimento.
Mi piacciono gli eroi di oggi, con le loro debolezze e la loro mancanza di dirittura morale, e con un tocco di cinismo.
Io ho sempre agito individualmente: conservatore su alcuni punti, “liberal” su altri. Detto questo, non sento Reagan vicino a me.
Cerco di girare un solo ciak, come ama fare Don Siegel. Dopo un po’ che dirigi diventa un istinto, basta essere capaci di fidarsi di se stessi.
Il più grosso errore per un attore è mettersi a pensare in termini intellettuali, perché la recitazione non è un’arte intellettuale.
Chi sono io? Un attore che recita delle parti. Non sono un grande intellettuale: se leggo una storia e mi piace, dico proviamo.
Ma chi può aver voglia di vedere me solo perché sono io?
Amo molto i film di John Ford, come di molti altri. Forse mi colloco nella loro tradizione, perché sono cresciuto nel West e mi sento vicino a questo genere di soggetti. Non so se sono stato influenzato da qualcuno; penso che si è influenzati da tutto ciò che si incontra nella vita. Alcune cose lasciano il segno.
Penso che gli spettatori debbano partecipare a ogni immagine. Do loro quello che penso sia necessario per procedere nel racconto,ma non mi metto a esporre ogni cosa per non insultare la loro intelligenza.
Non faccio i miei film preoccupandomi dell’aspetto commerciale. Se si pensa a quella che sarà la reazione del pubblico, si smette di pensare alla regia e il film finisce con l’uniformarsi a idee preesistenti, a un’ipotetica aspettativa del pubblico. L’essenziale è tenersi a ciò che si vuole esprimere: al pubblico spetta di accettare o no quello che gli hai raccontato.
Odio le scene in cui prendi una pausa, ti siedi, e spieghi che cosa è successo sino a quel momento, come se gli spettatori non fossero abbastanza svegli da arrivarci da soli.
Bisognerebbe incoraggiare le persone a cercare di essere quello che hanno sempre voluto essere, di realizzare quello che interessa loro in quanto individui. Ecco cos’è il sogno americano.
Dichiarazioni di Clint Eastwood, tratte da sue interviste a vari giornali, in parte citate nella monografia di Alberto Pezzotta, edizioni Il Castoro.
Filmografia
Regia
1971: Brivido nella notte (Play Misty for Me)
1973: Lo straniero senza nome (High Plains Drifter) – Breezy (id.)
1975: Assassinio sull’Eiger (The Eiger Sanction)
1976: Il texano dagli occhi di ghiaccio (The Outlaw Josey Wales)
1977: L’uomo nel mirino (The Gauntlet)
1980: Bronco Billy (id.)
1982: Firefox – Volpe di fuoco (Firefox) – Honkytonk Man (id.)
1983: Coraggio… fatti ammazzare (Sudden Impact)
1985: Il cavaliere pallido (Pale Rider) – Vanessa (Vanessa in the Garden, ep. Serie tv Storie incredibili)
1986: Gunny (Heartbreak Ridge)
1988: Bird (id.)
1990: Cacciatore bianco, cuore nero (White Hunter, Black Heart)
1991: La recluta (The Rookie)
1992: Gli spietati (Unforgiven)
1993: Un mondo perfetto (A Perfect World)
1995: I ponti di Madison County (The Bridges of Madison County)
1996: Potere assoluto (Absolute Power)
1997: Mezzanotte nel giardino del bene e del male (Midnight in the Garden of Good and Evil)
1999: Fino a prova contraria (True Crime)
2000: Space Cowboys (id.)
2002: Debito di sangue (Blood Work)
2003: Mystic River (id.) – Piano Blues (doc.)
2004: Million Dollar Baby (id.).
Interpretazioni
1955: La vendetta del mostro (Arnold) – Francis in the Navy (Lubin) – Lady Godiva (Lubin) – Tarantola (Arnold)
1956: Come prima, meglio di prima (Hopper) – Esecuzione al tramonto (Haas) – Vita di una commessa viaggiatrice (Lubin)
1957: Due gentiluomini attraverso il Giappone (Lubin)
1958: La squadriglia Lafayette (Wellman) – L’urlo di guerra degli Apaches (Copelan) – Serie tv Navy Long, Men of Annapolis, Highway Patrol
1959-1966: Serie tv Rawhide (due episodi distribuiti in Italia nel 1966 col titolo Il magnifico straniero)
1964: Per un pugno di dollari (Bob Robertson – Sergio Leone)
1965: Per qualche dollaro in più (Leone)
1966: Il Buono, il Brutto, il Cattivo (Leone)
1967: Una sera come le altre, ep. di Le streghe (De Sica)
1968: Impiccalo più in alto (Post) – L’uomo dalla cravatta di cuoio (Siegel)
1969: Dove osano le aquile (Hutton) – La ballata della città senza nome (Logan)
1970: Gli avvoltoi hanno fame (Siegel) – I guerrieri (Hutton)
1971: La notte brava del soldato Jonathan (Siegel) – Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo (Siegel)
1972: Joe Kidd (Sturges)
1973: Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan (Post)
1974: Una calibro 20 per lo specialista (Cimino)
1976: Cielo di piombo ispettore Callaghan (Fargo)
1978: Filo da torcere (Fargo)
1979: Fuga da Alcatraz (Siegel)
1981: Fai come ti pare (van Horn)
1984: Per piacere… non salvarmi più la vita (Benjamin) – Corda tesa (Tuggle)
1988: Scommessa con la morte (van Horn)
1989: Pink Cadillac (van Horn)
1993: Nel centro del mirino (Petersen).
Clint Eastwood ha interpretato quasi tutti i film da lui diretti con le uniche eccezioni di Breezy, di Bird e di Mystic River.