Aki Kaurismaki è un regista eccentrico. E ciò non solo per la collocazione geografica e culturale del Paese natale (la Finlandia), nel quale continua a svolgere la sua carriera cinematografica, nonostante i numerosi riconoscimenti internazionali e un paio di film girati nei primi anni Novanta a Londra (Ho affittato un killer) o a Parigi (Vita da bohème). L’eccentricità di questo regista – che ama scrivere, ma anche produrre e distribuire i propri film, pensando come referente privilegiato quel cinéphile lappone che puntualmente scende dalle gelate steppe del nord per vedere ogni sua nuova opera – è un’eccentricità che si esprime compiutamente in una fìlmografia dall’andamento alquanto bizzarro, ma sempre molto personale, capace di lasciar convivere al proprio interno la programmatica goliardia che prorompe dai suoi film rockettari (si pensi a Calamari Union o ai due Leningrad Cowboys, ad esempio) con le dolenti storie d’amore e di emarginazione sociale (Ombre in paradiso, Ariel, La fiammiferaia, Le luci della sera, ecc.), l’estrosa e molto libera rivisitazione dei classici letterari (Delitto e castigo, Amleto si mette in affari, Vita da bohème) con uno sguardo sempre originale sulle strutture narrative del cinema di genere: il noir (Ho affittato un killer o l’inizio di Nuvole in viaggio) e il melodramma (L’uomo senza passato), soprattutto.
Grande bevitore di birra, essere umano dal comportamento sempre un poco melanconico, regista tendenzialmente di poche parole nelle interviste, ma capace di improvvisi guizzi ironici al microfono come sullo schermo, Aki Kaurismaki è autore di un cinema che pone al proprio centro il problema dello stile, anche se non necessariamente secondo i canoni dell’autorialità. I suoi film sono sovente capaci di coniugare il rigore formale di Robert Bresson o di Carl T. Dreyer con la dinamicità narrativa dei B-movies hollywoodiani, la riflessione sull’essenza del linguaggio cinematografico (esemplificativa in questo senso la scelta di girare Juha senza parole e in bianco e nero) con il recupero stralunato delle comiche finali o dei modelli rappresentati da Buster Keaton e da Jacques Tati. Ed è su questo terreno squisitamente stilistico che Kaurismaki racconta la storia dei suoi personaggi, nei quali però egli non si rispecchia mai completamente, evitando con cura la formulazione di ogni ipotesi di autobiografismo. C’è sempre qualcosa di misterioso, di segreto nel cinema di Kaurismaki. Nei suoi film, l’analisi dell’universo proletario è sempre condotta con grande precisione e con assoluta capacità di coinvolgimento sociale, ma non può essere mai riconosciuta quale unico centro del discorso, anche perché questo non assume mai esplicite valenze ideologiche o didascaliche. C’è sempre una complessa e articolata corrispondenza tra la fragilità interiore dei suoi protagonisti (e protagoniste) e la durezza del mondo fisico in cui questi si trovano a vivere, ma difficile è distinguere in questo rapporto quale sia la causa e quale l’effetto. I film di Kaurismaki parlano sicuramente, e forse anche soprattutto del rapporto tra l’uomo e la società, ma non si spingono mai a dire in che modo questo rapporto possa o debba essere trasformato. In loro non c’è mai nulla di esplicitamente didascalico. Caso mai accade che si possa costatare, dopo di averli visti vivere sullo schermo, come quasi tutti i suoi personaggi, indipendentemente che siano protagonisti di film comico-giovanilistici o di opere drammatico-sociali, sognano una via di fuga dalla loro condizione presente: alcuni infine riescono a trovarla questa via (Ombre in paradiso, Ariel, Juha), altri la cercano ossessivamente sino a farla unica ragion d’essere della loro esistenza (Calamari Union o Leningrad Cowboy); a chi fallisce o non sa vedere alcuna ipotesi d’uscita l’unica prospettiva aperta resta quella della morte (Amleto si mette in affari, Ho affittato un killer) o della prigione (La fiammiferaia, Luci della sera). Ma il laconico Kaurismaki è troppo un autentico regista per restare prigioniero di un unico tema narrativo (che pur ritorna in modo ossessivo), condannandosi a essere un autore. Il cinema per lui è innanzitutto un mezzo per conoscere il senso della vita e, proprio per questo, nei suoi film il racconto non è mai disgiunto dalla ricerca di un senso etico dell’esistenza. L’analisi fenomenologica della sofferenza umana può inevitabilmente portare alla rivelazione del dolore, ma anche allo sberleffo di una soluzione farsesca o all’inatteso lieto fine di L’uomo senza passato. E’ nel contesto di questo mondo tutto cinematografico, sapientemente definito da uno stile che sa condensare il realismo con il fantastico, la fisicità dei comportamenti con l’analisi dell’interiorità psicologica, che Kaurismaki (forse memore dell’amata pittura di Edward Hopper) accompagna e osserva i suoi protagonisti, avendo sempre una grande cura e una grande competenza nel curare a tal fine la recitazione degli attori chiamati a interpretarli. Il suo sguardo sulla società e sugli esseri umani è contemporaneamente partecipe e distaccato. La sua visione dell’esistenza si alimenta insieme di sofferenza e di ironia. Dietro a ogni inquadratura dei film di Kaurismaki, comunque, traspare sempre la gioia di fare del cinema, come nella consapevolezza che l’arte rappresenti l’unica via possibile per dare un ordine alle cose e ai sentimenti, per confrontarsi produttivamente con il mistero della vita. Quella vita che il “freddo” regista finlandese insieme raggela e riscalda, di continuo. Il suo linguaggio cinematografico è diventato, infatti, sempre più essenziale, nel corso degli anni; ma contemporaneamente il fuoco di un irriducibile fermento interiore agita e brucia sempre più i suoi personaggi e lo sguardo di chi con l’occhio del cinema racconta (il regista) od osserva (lo spettatore) il divenire della loro storia, che film dopo film si fa sempre più articolata narrativamente, in modo consapevole complessa ed emotivamente coinvolgente. Anche rarefatta nel tempo, però; tanto che dopo più di tre anni di silenzio inizia a farsi strada il sospetto che Kaurismaki, il quale in occasione dei suoi cinquant’anni aveva dichiarato: “Ormai sono vecchio e non posso più permettermi di realizzare delle schifezze”, si sia lasciato sopraffare dalla sua naturale pigrizia, sia diventato troppo esigente con se stesso o abbia raggiunto una serenità interiore sufficiente per cessare d’interrogarsi sullo schermo. Agli appassionati di cinema resta solo da sperare che così non sia e che un nuovo film, pur non ancora annunciato, possa ben presto rinnovare il piacere del dialogo con questo eccentrico, sempre sorprendente regista che viene dal freddo.
Chi è
Aki Kaurismaki nasce a Orimattila (Finlandia) il 4 aprile 1957. Sin da giovanissimo coltiva la passione per il cinema, che condivide con il fratello maggiore Mika, con il quale gestisce dapprima un cineclub per fondare più tardi la casa di produzione Villealfa. I fratelli Kaurismaki approdano insieme alla regia nel 1981, con La sindrome del lago Saimaa: girato sulle sponde del più grande lago della Finlandia, il documentario è il primo film finlandese dedicato alla musica rock. La carriera dei due fratelli procede poi parallela, con Aki che alterna film dalla personale impronta realistica con altri caratterizzati da una forte tonalità comico-demenziale e dal ruolo fondamentale della musica. Scoperto in Italia dal Meeting Film Festival di Bergamo che nel 1990 gli dedica un’ampia personale, Aki Kaurismaki ha negli ultimi anni alquanto rarefatto la sua produzione artistica che, dopo una breve divagazione internazionale (Ho affittato un killer e Vita da bohème, lo ha visto alla fine del Novecento far ritorno alla sua Finlandia. Nel 2002 ha vinto con L’uomo senza passato il Gran Prix della giuria al festival di Cannes.
IL CINEMA SECONDO AKI
Vocazione
Forse ho pensato di far cinema perché non sono capace di nessun lavoro onesto. Camminavo ogni giorno su e giù per le vie di Helsinki cercando di rimediare soldi per bere ma era sempre più difficile trovarne. Allora ci siamo detti: cominciamo a fare film. Uno ha chiesto: su che cosa? Io ho risposto: su questo schifo che è la nostra vita”.
“Ho passato la vita nei bar ad ascoltare storie – racconta – e lì si impara l’humour nero. Il cielo è nero, no? Perchè io non dovrei esserlo? Sono talmente spaventato dal destino dell’umanità che non posso fare a meno di rappresentare con le immagini il mio orrore”.
Cinema
Non ho mai capito niente del cinema, mi preoccupo soprattutto della posizione della cinepresa, come faceva Chaplin; per questo il mio operatore mi prende in giro dicendo che non capisco nulla dell’illuminazione perché non tengo conto abbastanza delle luci. Insomma, sul set faccio il meno possibile. Non pianifico mai nulla, non cerco nessun effetto; la vita è già abbastanza complicata per crearsi dei problemi anche sul set.
Film
Fare un film è così noioso che non voglio impiegarci dei mesi, non ce la farei. La prima volta che realizzi un film è tutto molto emozionante, ma dopo è solamente un lavoro. Davvero non mi piace girare un film, mi piace montare la musica sulle immagini, questo sì. E’ l’unico momento della produzione di un film che davvero mi piace.
Stile
L’uomo non ha altro da perdere che il proprio stile. Se lo perde, perde anche la dignità. Per questo ho continuato ostinatamente sulla mia linea non commerciale. E il prezzo della libertà è stato avere bassi budget di produzione, che comunque tutto sommato non mi dispiacciono.
Sceneggiatura
Spesso non preparo alcuna sceneggiatura, semplicemente improvviso scena per scena senza sapere veramente come va a finire. I dialoghi li scrivo sul set mentre i tecnici delle luci piazzano le lampade.
Riprese
Sul set mi limito all’essenziale: quando alzo il dito è segno che l’attore deve cominciare a dire la sua battuta. Riprese? Una soltanto.
Montaggio
Sono io il montatore dei miei film: a causa del budget che è molto basso perché voglio preservare la mia libertà.
Libertà
Mi sento libero di rompere tutte le convenzioni cinematografiche, che comunque non ho mai imparato. E questo naturalmente comporta una certa solitudine, che comincia già per strada, quando la gente cambia marciapiede per non incontrarmi.
Futuro
Sinceramente sono molto preoccupato per il futuro del cinema. Futuro che non vedo. Con il digitale la magia del cinema è destinata a scomparire. L’unica risposta a questa tendenza rimangono i cineclub e le cineteche. Il cinema per me è morto nel 1962, lo ha rovinato la televisione.
Vergogna
Dopo ogni film provo una grande vergogna. Allora vado a girare un po’ per i boschi, raccolgo funghi, e mi dico: meglio non potevo fare. E basta.
Sesso
Le scene di sesso al cinema si dovrebbero vendere in stock, così che non sia necessario girarle ogni volta: tacchi alti abbandonati sul pavimento, biancheria intima di seta, un dolly sulle gambe della ragazza… A vedere queste cose sempre uguali al cinema vien voglia di fare a pezzi lo schermo.
Società
Credo che ognuno si debba prendere le proprie responsabilità nei confronti della società. In Finlandia c’è poca inclusione sociale e poca assistenza e sensibilità, al di sotto della media europea, credo. Non ci sono cittadini di serie A e serie B, ma di serie A e di serie C.
Solitudine
Sono un eremita. Sempre di più. Lo sono e mi ci sento. Non sopporto più i rumori e le voci. Sto spesso con me stesso, quando vado per boschi a funghi. Oppure a pescare. Ultimamente ho cominciato a parlare con gli alberi, ma loro non rispondono.
Ironia
L’ironia nasce nel montaggio, gli attori non ne sono coscienti al momento delle riprese. Quando giro parlo a bassa voce e sono serio.
Silenzio
C’è una grande differenza tra un film muto e uno con pochi dialoghi, come L’uomo senza passato, dove si parla moltissimo ma nessuno se ne accorge.
Dichiarazioni di Aki Kaurismaki, tratte da sue interviste varie e dai cataloghi del Bergamo Film Meeting ’90 e del Premio Fiesole 2006.
Filmografia
Corto e mediometraggi
1986: Rocky VI
1987: Thru the Wire – Rich Little Bitch
1990: L.A. Woman
1991: Those Were the Days
1992: These Boots
1993: Total Balalaika Show
1996: Välittäjä
2002: Dogs Have No Hell (episodio di Ten Minutes Older – The Trumpet)
2004: Bico (episodio di Visions of Europe)
2007: La Fonderie (episodio di Chacun son cinema).
Lungometraggi
1981: La sindrome del lago Saimaa (Saimaa-ilmiö, coregia Mika Kaurismäki)
1983: Delitto e castigo (Rikos ja rangaistus)
1984: Calamari Union
1986: Ombre nel paradiso (Varjoja paratiisissa)
1987: Amleto si mette in affari (Hamlet liikemaailmassa)
1988: Ariel
1989: Le mani sporche (Likaiset kädet, film Tv) – Leningrad Cowboys Go America – 1990: La fiammiferaia (Tulitikkutehtaan tyttö) – Ho affittato un killer (I Hired a Contract Killer) – Amazzonia (Amazon)
1991: Zombie e i Ghost Train (Zombie ja kummitusjuna)
1992: Vita da bohème (La vie de bohème – Boheemielämää)
1993: Tatjana (Pidä huivista kiinni, Tatjana)
1994: Leningrad Cowboys Meet Moses – 1996: Nuvole in viaggio (Kauas pilvet karkaavat)
1999: Juha
2002: L’uomo senza passato (Mies Vailla Menneisyyttä)
2006: Le luci della sera (Laitakaupungin valot)