Amore e morte. Depositario di un’idea di cinema molto convenzionale nelle sue strutture narrative, l’ormai sessantenne Nick Cassavetes (figlio di John e di Gena Rowland) mescola i due ingredienti indispensabili a ogni melodramma con alcuni temi mediati dal contemporaneo dibattito bio-etico, e coniuga il tutto all’interno di un nucleo famigliare tipicamente americano, il quale viene sconvolto dalla malattia (una grave forma di leucemia) che colpisce Kate, la bimba primogenita di un pompiere (Jason Patric) e di un’avvocato (Cameron Diaz).
Ne sortisce così un’opera programmaticamente intesa a coinvolgere il pubblico sul piano emotivo; un film forse un po’ troppo televisivo e programmatico nel suo assunto narrativo, ma anche capace di catturare (quasi) stabilmente l’attenzione, in virtù di un sapiente dosaggio dei toni e degli intrecci drammaturgici, che assumono un andamento esplicitamente giudiziario quando la sorella minore di Kate (Sofia Vassilieva), Anna (interpretata dalla brava Abigail Breslin, già candidata all’Oscar per Little Miss Sunshine), decide di rivolgersi a un celebre avvocato (Alec Baldwin) per potersi rifiutare di donarle un rene.
Perché fa questo, visto che non ci sono dubbi sul suo sincero amore per l’ammalata? Cassavetes fa in modo che lo spettatore scopra la risposta poco alla volta, attraverso un abile intarsio di antefatti e di flash-back. Sconvolti dalla rivelazione delle gravissime condizioni di salute di Kate e preso atto che né loro né il secondogenito Jesse possedevano i requisiti necessari per le inevitabili donazioni sanguigne e i più che probabili trapianti, più di dieci anni prima i genitori avevano, infatti, programmato il concepimento di Anna, affinché questa diventasse la banca degli organi necessari alla sorella. Con molti sacrifici (la madre rinuncia tra l’altro alla carriera legale) e lasciando che tutta la vita famigliare ruotasse intorno alla ragazza che continuamente entra ed esce dall’ospedale, gli anni sono così trascorsi per i Fitzgerald e, grazie ai ripetuti interventi sul corpo di Anna (dapprima il cordone ombelicale, poi le numerose trasfusioni di sangue e i dolorosi prelievi di midollo osseo), Kate è diventata una signorina. Ora, però, anche la chemio non basta più.
Per prolungarle la vita almeno di qualche mese sarebbe necessario il trapianto di un rene. Ma ecco che, con grande rabbia della madre che ha subordinato l’esistenza di tutta la famiglia alla lotta per la sopravvivenza di Kate, Anna dice basta e trova chi è disposto a difendere le sue ragioni in tribunale. Perché una scelta così radicale da parte della ragazzina? Il pubblico lo scoprirà in aula insieme al giudice Joan Cusack e sarà per lui un’altra occasione d’inumidire di lacrime il ciglio, come programmaticamente gli chiede di fare tutto il film, il quale ha però il merito di non essere mai volgare in questo gioco un po’ impudico con le reazioni sentimentali di chi sta seguendo sullo schermo questa storia di individuali sofferenze e di collettivi dolori.
Merito di una regia senza colpi bassi, ma anche di una recitazione complessivamente misurata, che ben concorre a rendere famigliare sia la tragicità del caso clinico raccontato, sia gli interrogativi etici ed esistenziali (tu come ti saresti comportato in simili circostanze?) che il film porta con sé sullo schermo.
La custode di mia sorella
(My Sister’s Keeper, USA, 2009)
Regia: Nick Cassavetes
Sceneggiatura: Jeremy Leven e Nick Cassavetes, dal romanzo di Jodi Picoult
Fotografia: Caleb Deschanel
Musica: Aaron Zigman
Scenografia: Jon Hutman
Costumi: Shay Cunliffe
Montaggio: Jim Flynn e Alan Heim.
Interpreti: Cameron Diaz (Sara Fitzgerald), Alec Baldwin (Campbell Alexander), Abigail Breslin (Anna Fitgerald), Joan Cusack (giudice De Salvo), Sofia Vassilieva (Kate Fitzgerald), Jason Patric (Brian Fitzgerald), Heather Wahlquist, (zia Kelly), Evan Elligson (Jesse Fitzgerald).
Distribuzione: Warner Bros
Durata: un’ora e 47 minuti
(di Aldo Viganò)