A differenza di Matti da slegare, con il quale Silvano Agosti e Marco Bellocchio portarono sullo schermo, tre anni prima dell’approvazione della legge che porta il suo nome, la documentazione a favore delle teorie sostenute dalla psichiatra Franco Basaglia circa il reinserimento nella società dei malati di mente, il nuovo film di Giulio Manfredonia, che fa seguito a un pugno di opere di livello inferiore (Tanti auguri, Se fossi in te, È già ieri), mette in scena in forma di fiction – tra realtà e utopia – le conseguenze pratiche dell’applicazione di quella legge che tra molte polemiche svuotò a partire dal 1978 i manicomi e aprì l’enorme problema sociale riguardante l’attivazione di adeguate strutture alternative.
Tutto ha inizio a Milano nei primi anni Ottanta, quando il quarantenne Nello (un ottimo Claudio Bisio in versione drammatica) viene allontanato dall’apparato operativo del sindacato operaio a causa delle sue idee troppo avanzate e aperte al dialogo con il mercato, per essere parcheggiato in una cooperativa di ex malati di mente, che i sanitari preferiscono mantenere tranquilli, imbottendoli di sedativi. Ma Nello è un uomo dai forti valori etici, che crede fermamente nella dignità del lavoro e nella solidarietà umana (sino al punto di trascurare anche troppo la pur comprensiva fidanzata Sara): e pertanto non si rassegna affatto all’inattività. Tanto che, contro il parere di tutti, col solo aiuto di Sara e di un medico basagliano, riesce infine a spingere i suoi assistiti a imparare il mestiere di installatori di parquet e a trovar loro lavoro, dando così inizio a una parabola narrativa ed esistenziale che, pur destinata realisticamente a concludersi nel fallimento economico e nel drammatico suicidio del più fragile del gruppo, lascia aperto lo spiraglio verso un utopico futuro migliore. Si può fare, appunto. Un film messo in scena in modo molto diretto e senza infiorettmenti estetici, ma anche dotato di una sua autentica e originale forza interiore.Una lieta sorpresa, in fin dei conti; tanto più nell’asfitico clima del cinema italiano contemporaneo, sempre più prigioniero tra la tentazione del modello televisivo, i ripiegamenti minimalisti e la brace di ambizioni mal riposte.
Manfredonia racconta una storia civile e interessante; sviluppa delle situazioni entro le quali sa dar vita a personaggi non solo ideologici; mette in scena speranze, delusioni e conflitti drammatici; guida gli attori verso una recitazione sempre molto essenziale ed efficace. E tutto ciò concorre a fare del suo Si può fare non solo un’opera in buona fede ed emotivamente simpatica, ma anche qualcosa di più, capace nei suoi momenti migliori di elevarsi alla dimensione di una tragicommedia umana con protagonista un solare disadattato ai modelli esistenziali dei rampanti anni Ottanta. Una commedia in grado di trascendere i vincoli contingenti del suo pur meritevole assunto narrativo, per aprire alla banda dei suoi umanissimi “matti” imprevedibili bagliori di luce verso utopici modelli di vita migliore. Per loro e per il cinema italiano.
Si può fare
(Italia, 2008)
Regia: Giulio Manfredonia
Soggetto: Fabio Bonifacci
Sceneggiatura: Fabio Bonifacci e Giulio Manfredonia
Fotografia: Roberto Forza
Scenografia: Marco Belluzzi
Costumi: Maurizio Millenotti
Musica: Pivio e Aldo De Scalzi
Montaggio: Cecilia Zanoso
Interpreti: Claudio Bisio (Nello), Anita Caprioli (Sara), Giuseppe Battiston (dr. Federico Furln), Giorgio Colangeli (dr. Del Vecchio), Bebo Storti (Padella), Andrea Bosca (Gigio), Giovanni Calcagno (Luca), Michele De Virgilio (Nicky), Carlo Giuseppe Gabardini (Goffredo), Andrea Gattinoni (Roby), Natascia Macchniz (Luisa), Daniela Piperno (Miriam), Franco Ravera (Carlo).
Distribuzione: Warner Bros
Durata: un’ora e 51 minuti
(di Aldo Viganò)