L’abbuffata

Se Avati guarda con infantile nostalgia al cinema di genere, Mimmo Calopresti sceglie di coniugare con giovanile baldanza la sua vocazione documentaristica, con il disincantato ritratto dei sogni e delle speranze delle nuove generazioni, mosse sovente più dalla voglia di fare che dalla consapevolezza di ciò che stanno facendo.

Ambientato nel mondo del cinema – tra le velleità di quattro ragazzi calabresi, il vuoto etico degli addetti ai lavori nella giungla romana e la follia del caso che governa l’esistenza – L’abbuffata è un film che potrebbe essere letto come una allegoria sulla condizione del cinema italiano contemporaneo: l’apparire come essere, l’ignoranza della tradizione e dei modelli, l’inconsapevolezza linguistica, l’illusione che i fatti personali siano di per sé interessanti anche per gli altri, e via dicendo.

E, allora, l’immagine che ne esce apparirebbe, a dir poco drammatica, soprattutto perché accompagnata nello spettatore alla sensazione che quello che L’abbuffata mette in scena sia proprio la radiografia di una condizione di fatto. Ma se nella prima mezz’ora il film sembra avviarsi verso questa valenza narrativa allegorica, nel suo proseguimento sterza sempre più verso la commedia di sapore felliniano ed evidenzia che a Calopresti quella storia interessa proprio in quanto tale, che con affetto egli sta tracciando un ritratto generazionale, contornato da simpatiche “maschere” quali il professore vanesio (Nino Frassica), la barista innamorata (Donatella Finocchiaro) e il regista scontroso (Diego Abatantuono), con un pizzico di follia rappresentato dalla gentilezza di Valeria Bruni Tedeschi o dall’ingombrante presenza fisica di Gérard Depardieu, che dopo una pantagruelica mangiata di carne di maiale va a morire proprio davanti al televisore su cui scorrono le immagini di Bruno Vespa e di Berlusconi.

Si comprende che a Calopresti piace quella piccola comunità affacciata sul golfo di Diamante; che ironicamente si rispecchia in quei giovani sprovveduti che vogliono fare un film e in quei loro compaesani che accettano con sincerità di farsi intervistare; che anche lui si commuove alla storia dell’anziana zia sempre in attesa del ritorno dell’amore emigrato in America; che soprattutto partecipa emotivamente a quel mondo felliniano evocato dai film che Diego Abatantuono insiste a proiettare, anche solo per se stesso, nella piazza del paese.

Tutto questo fa di L’abbuffata un film intimo, gentilmente racchiuso nel proprio involucro fantastico, appena incrinato da un felliniano (ancora lui) refolo di vento. Anche un film gentile e piacevole, nonostante il continuo riaffiorare dell’interrogativo sul perché lo spettatore debba interessarsi alla storia di personaggi così piccoli, e infin dei conti in sé così poco interessanti.

L’abbuffata
(Italia, 2007)
Regia: Mimmo Calopresti
Soggetto: da L’invito di Mahmoud Iden
Sceneggiatura: Monica Zapelli e Mimmo Calopresti
Musica: Sergio Cammariere
Scenografia: Alessandro Marrazzo
Costumi: Carolina Olcese
Montaggio: Raimondo Aiello
Interpreti: Paolo Briguglia (Gabriele), Elena Bouryka (Elena), Lorenzo di Ciaccia (Marco), Lele Nucera (Nicola), Diego Abatantuono (Neri), Nino Frassica (il professore), Valeria Bruni Tedeschi (Amèlie), Donatella Finocchiaro (Enza), Gèrard Depardieu (Gèrard), Steve Della Casa (presentatore televisivo)
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: un’ora e 42 minuti

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