Posto tra parentesi l’amore per la sua Irlanda (La moglie del soldato, Michael Collins), Neil Jordan torna negli Stati Uniti per ostentare ancora una volta quel virtuosismo tecnico e narrativo già evidenziato sin dai tempi di Non siamo angeli e di Intervista con il vampiro. Eccolo quindi alle prese con un thriller classico, dall’andamento un po’ troppo risaputo, costruito sul tema della vendetta.
Nei giorni in cui il detective di colore e con la faccia onesta di Terrence Howard cerca la via per incastrare un gangster violento e sanguinario, c’è un vigilante (il “Brave One” del titolo originale) che si aggira per le strade di New York scaricando la sua calibro 9 su un uxoricida in un grande magazzino, su due teppisti in una metropolitana notturna o su un manesco magnaccia da periferia. Che cosa hanno da spartire i due plot narrativi? Quando verranno ad intrecciarsi? Jordan mette lo spettatore nella condizione di sapere molto di più dei personaggi. Egli, infatti, sa che colui che i giornali hanno battezzato con titoli cubitali il “vigilante” è in realtà una intrattenitrice radiofonica che una sera, passeggiando per il Central Park con il fidanzato e il cane, è stata assalita da tre malviventi che l’hanno resa vedova anzitempo, le hanno rapito il pastore tedesco e l’hanno ridotta per molte settimane su un letto d’ospedale, da cui è scesa con “il buio nell’anima” (per dirla con il poetico titolo italiano).
Lo spettatore sa. Ed è indotto dalla regia a una colpevole complicità con le sue imprese da “giustiziere della notte”. Ma nello stesso tempo partecipa all’inchiesta dell’onesto detective, che progressivamente si stringe intorno a quella strana ragazza solitaria che alterna momenti di euforia ad altri di tremebondi sensi di colpa. E quel gangster violento? Quando i due protagonisti intrecciano i loro percorsi in un rapporto ambiguamente sospeso tra complicità sentimentale e dolente voglia di espiazione, lo spettatore sa anche che i loro tragitti drammaturgici andranno a fondersi e a confondersi. Come? Toccherà ancora allo spettatore scoprirlo in un finale “immorale”, che sembra rinviare allo stile della Hollywood anni Settanta.
Ma non è certo in questa arzigogolata soluzione del thriller (tutti colpevoli, tutti innocenti) che il film di Neil Jordan dà il meglio di sé. Se questo meglio c’è, risiede tutto altrove: sempre ai margini del plot principale. Nelle atmosfere notturne di una New York che contro le apparenze tutti si ostinano a definire “la città più sicura del mondo”. Nel volto sempre più affilato e nell’interpretazione tutta interiorizzata di Jodie Foster che gioca di contrasto rispetto alla limpida recitazione di Terrence Howard dalla faccia rotonda. Negli ampi e fluidi movimenti della cinepresa che, pedinando i protagonisti, costruisce intorno a loro gli arabeschi di un mondo senza punti fissi, di una giustizia che ha perso il contatto con la morale, ma che cerca invano di recuperarlo.
Tutto questo non fa certo di The Brave One un bel film. Ma almeno concorre a tenerlo lontano dal qualunquismo ideologico di altre pellicole costruite intorno allo stesso tema del farsi giustizia da sé. Forse non è molto, anche se sufficiente almeno a seguire sino in fondo questo dolente viaggio di una ragazza offesa e di un detective in crisi d’identità lungo il confine che separa il Bene dal Male, il Cinema dalla sua negazione in un contenuto aprioristicamente dichiarato.
Il buio nell’anima
(The Brave One, U.S.A. – Australia 2007)
Regia: Neil Jordan
Sceneggiatura: Roderick Taylor, Bruce A. Taylor e Cynthia Mort
Fotografia: Philippe Rousselot
Scenografia: Kristi Zea
Costumi: Catherine Marie Thomas
Musica: Dario Marinelli
Montaggio: Tony Lawson
Interpreti: Jodie Foster (Erica Bain), Terrence Howard (detective Mercer), Nicky Katt (detective Vitale), Naveen Andrews (David Kirmani), Mary Steenburgen (Carol), Ene Olaja (Josai), Luis Da Silva jr. (Lee), Blaze Foster (Cash), Rafael Sardina (Reed).
Distribuzione: Warner Bros
Durata: un’ora e 59 minuti
(di Aldo Viganò)