Michael Moore insiste nel suo cinema dichiaratamente polemico, un po’ narcisista e sanamente fazioso, sempre ben montato e attraversato da improvvisi guizzi umoristici. Dopo la disumanità della grande industria americana (Roger & Me), la nefasta ossessione dei suoi compatrioti per le armi da fuoco (Bowling a Columbine), le ambiguità del potere in occasione della tragedia delle “Twin Towers” (Fahrenheit 9/11), eccolo affrontare ora la disastrosa situazione del sistema sanitario nazionale, caratterizzato dall’arroganza delle società di assicurazione e dalla tragica solitudine degli ammalati che non sono in grado di pagarne gli ingentissimi premi.
Sicko (da “sick”, malato) è un pamphlet costruito sulla base delle migliaia di risposte che Moore ha ricevuto sul suo sito internet alla richiesta di testimonianze personali relative ai rapporti tra l’individuo e la cura della sua malattia. Isolatene alcune, il regista vi scava come al suo solito all’interno: intervistandone i protagonisti, ricostruendone la storia e mettendo il tutto in rapporto con le dichiarazioni dell’”altra parte”, privata o politica che sia, raccolte ora direttamente e ora tramite il ricorso a frammenti di cinegiornali più o meno ufficiali. Quello che ne sortisce è un quadro agghiacciante: malati abbandonati a se stessi o gettati letteralmente sulla strada solo perché privi di assicurazione sanitaria, società assicuratrici che trovano mille cavilli per negare la copertura finanziaria alle cure dei loro assistiti, aziende farmaceutiche che speculano sulle medicine gonfiandone in modo abnorme i prezzi.
Altro che “privato è bello”. Quello che Moore descrive è un inferno dove non solo vengono negati i diritti più elementari dei malati, ma anche la loro stessa malattia viene cinicamente sfruttata da un sistema essenzialmente monopolistico. Moore s’indigna, scalpita, accusa, invita lo spettatore a fare altrettanto. E, per meglio convincerlo, lo accompagna in tre viaggi all’estero: nei paradisi terrestri della sanità, rappresentati per lui dall’Inghilterra, dalla Francia e da Cuba, dove sbarca con un manipolo di suoi malati, i quali ottengono là gratuitamente quelle cure e quelle medicine che in patria erano loro negate dagli eccessivi costi. Certo Moore esagera nella rappresentazione del Bene tutto da una parte (come ben possono dedurre anche i malati italiani, vedendo la sbandierata statistica mondiale della buona sanità in cui l’Italia figura al secondo posto, dietro solo alla Francia), ma la sua descrizione del Male americano è indubbiamente molto efficace.
E questo accade in primo luogo quando, pur in un film dall’impianto ostentatamente televisivo, il suo discorso si appoggia su modalità espressive squisitamente cinematografiche. Efficaci tagli di montaggio. Improvvisi sguardi rivolti verso l’esterno: scorci di paesaggio urbano, divagazioni su frammenti di vita quotidiana, il viaggio “alla rovescia” degli americani verso la terra promessa cubana. Soprattutto, la contrapposizione tra i corpi sani e asciutti degli “altri” e quelli obesi e sfatti come risultano essere il suo e quelli dei suoi connazionali. Basterebbe solo questo per temere il peggio dal modello americano. Faziosità di Moore e forza del mezzo cinematografico, certo. Ma la oggettività di quello che si vede sullo schermo non è certo facile da negare.
Sicko
(Sicko, U.S.A. 2007)
Regia e sceneggiatura: Michael Moore
Fotografia: Christopher Vitt
Musica: Erin O’Hara
Montaggio: Geoffrey Richman, Chris Seward, Dan Swietlik
Interpreti: Michael Moore (se stesso), George W. Bush (se stesso), Reggie Cervantes (se stessa), John Graham (se stesso), William Maher (se stesso), Richard Nixon (se stesso), Linda Peeno (se stessa).
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: due ore
(di Aldo Viganò)