La struttura narrativa ricalca quella di un documentario, con la voce fuori campo di Nicholas Cage che accompagna lo spettatore nel lucroso labirinto del commercio delle armi dopo la caduta del muro di Berlino; ma lo svolgimento stilistico spinge continuamente il film verso una curiosa dimensione fantastica, in cui realtà e apparenza, impegno civile e gioco autoriale continuamente si mescolano con esiti sovente sorprendenti.
Anche se non troppo, forse, per chi ha ricordo dei precedenti film giunti in Italia del regista neozelandese Andrew Niccol (Gattaca e S1mOne), i quali di fatto già si muovevano lungo lo stesso ambiguo crinale espressivo. Introdotto dalla strepitosa seguenza in soggettiva del viaggio di una pallottola dalla fabbrica al momento in cui va a schiantarsi sulla fronte di un ragazzo di colore, Lord of War racconta la resistibile ascesa al successo imprenditoriale di un figlio d’emigranti ucraini negli States, deciso a uscire con ogni mezzo dal mondo un po’ asfittico della sua famiglia, con un padre che si è rinventato come ebreo e un fratello minore ben presto perso nel mondo della droga.
Così come aveva fatto sotto i titoli di testa con l’animazione del proiettile omicida, il film di Niccol pedina ora questo improvvisato mercante d’armi, dalle casuali prime imprese alle sanguinose strade delle guerre civili africane. E l’effetto è altrettanto deflagrante. Contatti con i militari facilmente corruttibili dei paesi che una volta si dicevano d’Oltrecortina, lotta senza esclusione di colpi con i concorrenti per spartirsi il mercato, legami d’amicizia con i sanguinari dittatori del continente nero sempre pronti a scambiare diamanti con kalashnikov, fondamentale “disattenzione” delle potenze occidentali.
L’immagine del mondo contemporaneo che viene fuori da Lord of War è agghiacciante: il trionfo del mercato dà origine a un deserto esistenziale senza valori, entro il quale Nicholas Cage si muove con assoluta sicurezza, mentre la sua bella moglie sembra aver imparato a chiudere gli occhi e il suo fratellino cerca invano rifugio nella cocaina. E qui sta il difetto di fondo del film. Perché Niccol non si limita a raccontare (sovente in modo molto originale) un mondo senza morale, ma pretende anche di giudicarlo sul terreno narrativo. Con il risultato che tutto si pasticcia. La spietata cronaca della realtà del potere, gestita attraverso l’”amorale” azione del protagonista, si mescola così con il poliziesco (l’agente Ethan Hawks alla ricerca di prove per incastrare Nicholas Cage) e con il melodramma (la rivolta etica del fratello di Nicholas Cage e la crisi di coscienza della moglie e madre di suo figlio).
E il film mal sopporta questo accumulo di punti di vista escogitati probabilmente per renderne più accattivante la fruizione, ma con il risultato opposto di appesantirne l’assunto e di rendere il tutto alquanto farraginoso. Lord of War diventa così un film a due teste: da una parte, quella che traccia l’incandescente profilo, ricco d’invenzioni e di originalità narrativa, di un’umanità completamente appiattita sui riti del potere e degli affari; dall’altra, quella molto più ovvia, convenzionale e un po’ noiosa di una fiction che non rinuncia a intingere nel perbenismo la forza dirompente del proprio atto d’accusa.
Lord of War
(USA, 2005)
Regia: Michele Placido
Sceneggiatura: Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Giancarlo De Cataldo e Michele Placido, dal romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo
Fotografia: Luca Bigazzi
Musica: Paolo Buonvino
Scenografia: Paola Comencini
Costumi: Nicoletta Taranta
Montaggio: Esmeralda Calabria
Interpreti: Kim Rossi Stuart (Freddo), Pierfrancesco Favino (Libanese), Claudio Santamaria (Dandi), Stefano Accorsi (comm. Scialoja), Anna Mouglalis (Patrizia), Jasmine Trinca (Roberta), Riccardo Scamarcio (Nero), Massimo Popolizio (Terribile), Toni Bertorelli (La Voce), Roberto Infascelli (Gigio), Franco Interlenghi (Barone Rosellini), Gianmarco Tognazzi (Carenza), Michele Placido (padre del Freddo)
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 50 minuti