C’è qualcosa di continuamente sfuggente nell’attività artistica di David Mamet (classe 1947). Che rapporto c’è tra il commediografo funambolo dei dialoghi iperrelistici e il regista cinematografico che ama costruire apologhi morali con la tecnica del puzzle o del gioco enigmistico?
E, nella sua filmografia, che cosa hanno in comune le raffinate stangate di La casa dei giochi con il neo-classicismo del Caso Winslow o il complesso apologo sul neo-nazismo americano di Le cose cambiano con il sofisticato gioco in commedia di Hollywood, Vermont? Come conferma Spartan, l’impressione è che la migliore chiave di lettura vada ricercata lontano dal terreno in cui il tragitto culturale di Mamet sembra di diritto collocarlo.
Cioè, lontano dal cinema d’autore. Film dopo film, si conferma infatti che questo regista non ha tanto fantasmi interiori da esorcizzare, quanto voglia di raccontare storie, di guardare negli occhi esseri umani, di confrontarsi con i meccanismi narrativi del “genere”. In questo senso, Spartan è davvero un’opera emblematica, che inizia come un film militare, si dipana secondo i ritmi dell’enigma poliziesco, per imboccare poi la via dell’avventura etica declinata in onore dell’eroe solitario.
Tutto già visto, certo. Ma non è proprio la virtù del cinema di “genere” quella di attingere il nuovo attraverso vie espressive già codificate? In Spartan, Val Kilmer è una macchina di guerra, ma – proprio come i soldati dello spartano Leonida alle Termopili – è anche un professionista che, rimanendo rigorosamente fedele al compito assegnatogli, finisce con l’assumere il ruolo di difensore di fondamentali valori morali e col concorrere così, quasi suo malgrado, a cambiare il corso della Storia. La vicenda è alquanto complicata: qualcuno ha rapito la figlia del Presidente e la Cia deve ritrovare la ragazza prima che il fatto vada in pasto alla stampa. Si pensa a un complotto internazionale, ma si tratta solo di un caso fortuito, che porta a un giro di ragazze da prostituire in medioriente. “Spartan” Val Kilmer giunge a un passo dallo scoprirlo, ma la strada della verità gli è sbarrata dal ritrovamento di un cadavere che il Presidente di affretta a riconoscere come quello di sua figlia.
A questo punto il film è solo a metà, ma ha già dato il meglio di sé, anche se si lascia volentieri allo spetttore il piacere di scoprire come la vicenda vada a finire. Ma dove sta il meglio? Essenzialmente in due cose: la sintesi dello sguardo narrativo e la vitalità delle immagini che, puntando essenzialmente sull’azione, sanno scoprire nei risvolti di un montaggio fremente i residui di un possibile senso morale del mondo. Ed è qui che Val Kilmer – tipico attore di “genere”, tanto più bravo quanto sa abbandonarsi alle regole del racconto cui è chiamato ad offrire corpo e voce (niente di insultante, ovviamente, perché fatte le debite proporzioni in fin dei conti anche il grande James Stewart era un attore di questo tipo) – Val Kilmer, dicevo, diventa il centro del film, con quella sua recitazione che, a furia di levare, mette a nudo la presenza in Spartan qualcosa che ci riguarda molto da vicino, come il senso della vita e la responsabilità dell’individuo nei confronti della società.
Spartan
(id. – Usa, 2004)
Regia e sceneggiatura: David Mamet
Fotografia: Juan Ruiz Anchia
Musica: Elliott Goldkind e Mark Isham
Scenografia: Gemma Jackson
Costumi: Shay Cunliffe
Montaggio: Barbara Tulliver
Interpreti: Val Kilmer (Scott), Tia Texada (Jackie Black), Derek Luke (Curtis), Jeremie Campbell (consigliere politico), Lionel Mark Smith (colonnello Blane), Johnny Messner (Grace), Chris LaCentra (capitano Sattler), Kristen Bell (Laura Newton)
Distribuzione: CDI
Durata: 106 minuti