Il quarto lungometraggio dello spagnolo Alejandro Amenabar sembrava avere tutto per risultare un film poco interessante agli occhi degli appassionati di cinema, frequentatori dei cineclub genovesi e italiani: una storia esibita come vera, che poteva tuttalpiù andare bene a coloro che preferiscono la superficialità della cronaca alla complessità dell’estetica; un protagonista immobilizzato sul letto e costretto ad esprimersi solo per movimenti facciali, irresistibile tentazione per virtuosismi d’attore e ideale palestra per narcisismi interpretativi per pretendenti all’Oscar; e, ancora, un grande tema etico-sociale (l’eutanasia) a fare da collante narrativo di un vicenda votata a far pensare e discutere.
Grande, quindi, è stata la sorpresa di trovare sullo schermo non un film grondante compassione o sotteso di nobili e sincere buone intenzioni, ma un’opera cinematografica a suo modo allegra e divertente, attraversata da una grande interpretazione “a levare” di Javier Bardem e, soprattutto, illuminata da bellissimi personaggi di contorno. Dai famigliari (la cognata, il fratello e il padre) di colui che un banalissimo incidente giovanile tiene da trent’anni immobilizzato sul letto di un casolare di campagna, ai membri dell’associazione di volontariato che ne appoggiano il diritto a morire con dignità.
Dalla donna avvocato che partecipa con il protagonista l’irresistibile degrado fisico, alla madre di famiglia che non può capire ma infine accetta la volontà di colui cui vuole bene. Sino al prete paraplegico che vorrebbe convincerlo della necessità di accettare i piani imperscrutabili di Dio e che si trova, suo malgrado, al centro di un’esilarante scena (forse la più indimenticabile del film) dal travolgente sapore bunueliano. Quello che sorprende in un regista altrove (Apri gli occhi o The Others) votato a sin troppe indulgenze letterarie e alla predilezione delle atmosfere più cupe, è la solarità e la leggerezza con cui sa raccontare una storia di morte.
Più che il fratello spagnolo delle Invasioni barbariche, con cui condivide solo la laica concezione della morte, a ben vedere, Mare dentro è un melodramma costruito intorno alle relazioni emotive dei personaggi, i quali si rapportano sempre tra di loro con la massima sincerità. La storia sublime di un uomo che ama corrisposto quattro donne molto diverse tra loro (la cognata dalla concretezza contadina, la complice Julia, la tenace Manuela e la vitalistica Rosa), ma che può esprimere questo amore solo attraverso un definitivo atto di negazione.
Un uomo che per la natura delle sue scelte può di fatto essere capito solo dalle donne (non dal fratello tradizionalmente conservatore e neppure dal taciturno padre, che sarà il primo a sentirne la mancanza), perché il suo modo di relazionarsi con la vita si manifesta ormai solo nella forma estrema di un amor fou che può contretizzarsi solo nella tensione verso un amore eterno. Nulla a che fare con la cronaca (la storia vera) o con le lotte esistenziali quotidiane (il grande tema etico-sociale), pertanto, ma una grande storia d’amore e di morte che non ha paura di sfuggire continuamente dalla semplice descrizione del reale, per cogliere la verità dei personaggi attraverso inquadrature sempre molto intense e consapevoli, che hanno la rara capacità di guardare negli occhi gli esseri umani, sino a penetrarne la più recondita umanità.
MARE DENTRO – Mar adentro
(Spagna, 2004)
Regia, musica e montaggio: Alejandro Amenabar
Sceneggiatura: Alejandro Amenabar e Mateo Gil
Fotografia: Javier Aguimesarobe
Scenografia: Benjamin Fernandez
Costumi: Sonia Grande
Interpreti: Javier Bardem (Ramon Sampedro), Belén Rueda (Julia), Lola Duenas (Rosa), Mabel Rivera (Manuela), Celso Bugalla (José), Clara Segura (Gené), Joan Dalmau (Joaquin), Alberto Jiménez (German), Francesco Garrido (Marc), Tamar Novas (Javi), José M. Pou (padre Francisco), Alberto Amarilla (fratello Andrés)
Distribuzione: Lucky Red
Durata: due ore e 5 minuti
(di Aldo Viganò)