Chi ha detto che il cinema moderno deve essere caratterizzato dalla frantumazione dell’azione nel frenetico intrecciarsi delle inquadrature e delle angolazioni? Debito di sangue è la dimostrazione che ancora oggi si può fare un film di forte presa spettacolare articolando una sequenza secondo riprese ad altezza d’uomo, funzionali movimenti della cinepresa e in immagini che trascorrono le une nelle altre secondo i principi logico-razionali del montaggio “invisibile”.
Chi ha detto che lo spettatore cinematografico contemporaneo ha un senso esclusivamente dinamico del tempo e non tollera pause di riflessione? Il successo dell’ultimo film di Clint Eastwood testimonia ancora una volta – e ce n’era bisogno! – che al cinema come in ogni altra forma di comunicazione artistica la durata dell’attenzione non è mai un dato avulso dalla necessità espressiva, e che una inquadratura, una scene, un film intero possono risultare troppo lunghi o troppo corti solo in rapporto alla loro capacità di stabilire un’autentica comunicazione con il loro fruitore.
Film di genere, rigorosamente rispettoso di convenzioni narrative ampiamente collaudate, Debito di sangue ha tra i suoi tanti meriti anche quelli di non aver paura di apparire fuori moda e di sapersi prendere i suoi tempi. E, in questo senso, s’impone subito come un’opera decisamente anticonformista: espressione della tenacia e della determinazione di un autore che non ha perso il piacere di raccontare una storia, di far vivere sullo schermo personaggi drammaturgicamente non banali, di lasciare che il senso del proprio film nasca interamente dalla concatenazione di immagini significanti.
Giudicato nel suo insieme, Debito di sangue non è certo un film perfetto: lo condizionano un meccanismo poliziesco con alcuni passaggi un poco arrugginiti e un quarto d’ora finale che si accontenta di riprendere senza molta invenzione sguardi e comportamenti già ampiamente collaudati nel ciclo del tenente Callaghan. Ma ciò non toglie nulla al suo essere un film che chiunque ama davvero il cinema non deve assolutamente perdere. La sua cifra stilistica dominante è, appunto, l’uso del tempo.
E’ questo, molto più ancora che alcuni suoi passaggi narrativi, che fa dell’ennesimo film costruito sul rapporto di interdipendenza tra un poliziotto e un serial killer qualcosa di assolutamente originale. Un film capace a tratti di elevarsi ai toni alti della tragedia (come Edipo, Terry McCaleb scopre con raccapriccio di non essere estraneo alla colpa che perseguita). Ma anche di distendersi ora lungo i moduli della commedia (i rapporti tra Clint Eastwood e Jeff Daniels), ora di un apologo sull’amicizia (le determinanti presenze al fianco del protagonista di Anjelica Huston e Tina Lifford), ora del melodramma (la presenza dei parenti delle vittime), ora della farsa (i due detective alle prese con la propria insipienza). Concedendosi anche il lusso di creare splendidi momenti in cui l’azione viene sospesa, magari solo per gustare insieme una ciambella dolce.
DEBITO DI SANGUE
(USA, 2002)
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Brian Helgeland, dal romanzo di Michael Connelly
Fotografia: Tom Stern
Musica: Lennie Niehaus
Scenografia: Jack G. Taylor jr.
Montaggio: Joel Cox.
Interpreti: Clint Eastwood (Terry McCaleb), Jeff Daniels (Jasper “Buddy” Noone), Wanda De Jesus (Graciela Rivers), Tina Lifford (Jaye Winston), Paul Rodriguez (Ronaldo Arrango), Dylan Wlash (John Waller), Anjelica Huston (Dr. Bonnie Fox)
Distribuzione: Warner Bros
Durata: un’ora e 48 minuti
(di Aldo Viganò)