Il signore degli anelli: la compagnia dell’anello

Più di venti anni fa, ci aveva già provato Ralph Bakshi con un film che mescolava il cartone animato con le riprese dal vivo, ma le ambizioni di Peter Jackson sono molto più grandi: portare sul grande schermo l’intera saga d’ambientazione medievale ideata da Tolkien, mettendo contemporaneamente in cantiere tre kolossal realizzati ai margini delle potenti majors hollywoodiane e destinati a uscire uno all’anno da qui al 2003.

Avanti il primo, pertanto: La compagnia dell’Anello. Con l’annuncio che verranno poi Le due torri e Il ritorno del Re: per la gioia dei tolkieniani d’antan e per il piacere di tutti coloro che al cinema amano soprattutto il fascino visionario delle immagini e la suggestione figurativa delle sequenze d’azione. Perché, sì, visto da questa angolazione, il film di Jackson ha indubbiamente una sua forte attrattiva: paragonabile per i cinéphiles più accaniti solo a quella di certi peplum firmati negli anni Cinquanta e Sessanta da Riccardo Freda, con il quale il regista neozelandese condivide il gusto di macchiare di horror l’avventura e il piacere di risolvere tutto il racconto nella concreta realtà delle sue dinamiche cinematografiche. Il risultato è che di un film come Il signore degli anelli si apprezzano e si ricordano molto più facilmente alcune singole sequenze che l’unità stilistica del tutto, l’originalità dello sguardo sui corpi e sui gesti dei suoi protagonisti che le sue specifiche soluzioni narrative, le caratterizzazioni dei suoi attori di contorno che l’autentica vita dei personaggi che mettono in movimento la narrazione.

Difficile, infatti, dimenticare le inquietanti presenze notturne dei cavalieri neri o la lunga cavalcata di Liv Tyler in quel paesaggio reso fantasmatico dal montaggio digitale o il mostro di fuoco che incombe sul ponte che porta fuori dall’inferno delle miniere di Moira o, infine, l’iperbolica morte dell’essere umano nell’affascinante battaglia conclusiva di questo primo episodio. Ma difficile anche celare un certo imbarazzo ora nei confronti di tante scene di raccordo inesorabilmente un po’ qualunque, ora di personaggi senza alcun spessore drammaturgico (in genere, tutti gli hobbit che pur sono il motore della storia), ora di un impianto narrativo finalizzato più a illustrare il proprio modello letterario che a reinventarlo con l’autonoma forza del cinema.

E il bilancio, allora? Nel nom del cinema, meglio dare credito alla metà mezza piena del film, accontentandosi di uscire dalla sua visione con gli occhi ancora pieni delle forti immagini che più appartengono allo stile serie B di un regista “splatters” (titolo italiano di uno dei suoi primi horror), che dimostra ancora una volta di saper trarre anche da un kolossal per i fast food degli effetti speciali le sue “creature del cielo” (titolo del film che gli ha dato maggiore successo): per riprova, basti vedere la grande seguenza in cui Christopher Lee evoca dagli abissi della terra la sua armata delle tenebre.

IL SIGNORE DEGLI ANELLI: LA COMPAGNIA DELL’ANELLO
(The Lord of the Rings: The Fellowship of the Ring, U.S.A. 2001)
Regia: Peter Jackson
Sceneggiatura: Frances Walsh, Philippa Boyens, Peter Jackson, dal romanzo di J. R. R. Tolkien
Fotografia: Andrew Lesnie
Musica: Enya e Howard Shore
Scenografia: Joe Bleakley, Dan Hennah, Philip Ivey, Rob Outterside, Mark Robins
Costumi: Ngila Dickson e Richard Taylor
Montaggio: John Gilbert
Interpreti: Elijah Wood (Frodo Baggins), Ian McKellen (Gandalf Mithrandir), Liv Tyler (Arwen Undomiel), Ian Holm (Bilbo Baggins), Christopher Lee (Saruman), Cate Blanchett (Galadriel)
Distribuzione: Medusa Film
Durata: due ore e 55 minuti

(di Aldo Viganò)

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